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Ridurre le vaccinazioni nei vitelli è possibile

La vaccinazione dei vitelli viene spesso considerata un’operazione in grado di risolvere la maggior parte delle problematiche sanitarie presenti in un’azienda di bovini. Esistono in commercio numerosi vaccini per la maggior parte delle malattie infettive trasmissibili del bovino ad oggi note. Il problema spesso è che in allevamento non si conoscono i reali problemi presenti ma si sceglie di vaccinare contro più agenti infettivi in contemporanea, pur non conoscendo quale sia l’eziologia del problema.

Per un approccio corretto il primo passo da compiere è quello di intervenire sulle patologie endemiche per i vitelli come BVD, IBR, BRSV e clostridiosi. Per ciò che concerne E.coli e Salmonella spp. l’approccio corretto dovrebbe essere azienda specifico e volto a ridurre la contaminazione ambientale e a migliorare il livello di igiene aziendale.

Il veterinario di stalla dovrebbe essere il responsabile della gestione del piano vaccinale aziendale. Questo evita la possibilità di seguire “mode” vaccinali o scelte casuali non legate alla reale situazione sanitaria dell’azienda e dell’area dove l’azienda è collocata. Il veterinario è in grado di valutare l’azienda nel suo complesso, considerando la gestione nel suo complesso.

Per l’applicazione corretta di un protocollo vaccinale andrebbe scelto il migliore momento sia per l’età dell’animale (che non sempre sono i primi 7 giorni di vita dell’animale, molto dipende dal livello di stress del vitello) che per la stagione in cui il vaccino viene somministrato. Anche i parassiti infestanti i vitelli giocano un ruolo fondamentale nell’influenzare negativamente la risposta al vaccino.

Il veterinario aziendale è l’unico soggetto in grado di definire se un vaccino è realmente utile e necessario in azienda. Bisogna ricordare che circa un terzo delle energie di un vitello sono utilizzate dal sistema immunitario: troppi antigeni somministrati possono causare una riduzione dell’incremento ponderale: spesso si sottovaluta l’importanza di una corretta alimentazione e l’eventuale necessità di integrare la razione nei giovani soggetti.

Oltre a fattori controllabili come il livello di stress e la nutrizione, vi sono anche elementi invariabili come la genetica dell’animale e l’ambiente. Da quanto descritto si evince che il piano vaccinale andrebbe studiato in base a quando compaiono i problemi in azienda, in quale fase produttiva o in quale stagione e capire se la vaccinazione è realmente utile o potrebbe peggiorare la situazione. Questo non significa non vaccinare in assoluto bensì programmare le vaccinazioni in modo da massimizzare i risultati ottenibili. In un’azienda di piccole dimensioni, chiusa, con un management ottimo, ad esempio, è possibile non vaccinare la prima settimana di vita. Nel caso, invece, di un’azienda di grandi dimensioni, un management approssimativo, con un elevata movimentazione di animali dove l’esposizione a nuovi patogeni è continua, sarà necessario avere un piano vaccinale “aggressivo” e piuttosto precoce.

Concludendo ancora una volta la professionalità del medico veterinario aiuterà a gestire il protocollo vaccinale in modo efficace ed efficiente.

M. Mazzilli

Bibliografia: With calves, fewer can be more- by Hoard’s Dairyman staff- Hoard’s West – May 25, 2011

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