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La febbre Q e il rischio per l’uomo

La febbre Q deve il suo nome al termine inglese query fever, quando ancora non se ne conosceva l’agente eziologico. Alcuni successivamente hanno ipotizzato che il nome derivasse da Queensland, il primo stato dove venne segnalata questa patologia. Si tratta, come è ormai noto, di una zoonosi causata da un microrganismo ubiquitario, Coxiella burnetii.

C. burnetii è un batterio Gram negativo intracellulare obbligato con tropismo per i monociti/macrofagi. I reservoirs dell’infezione sono sia gli animali da compagnia sia quelli d’allevamento e la trasmissione animale-uomo avviene principalmente tramite l’inalazione di un aerosol contaminato. Oltre che da numerosi mammiferi C. burnetii è stata isolata anche da uccelli e artropodi, soprattutto zecche (responsabili del mantenimento dell’infezione nell’ambiente). La principale via di infezione per l’uomo è tuttavia rappresentata dal contatto con animali di allevamento quali bovini e ovi-caprini.

Le vie di trasmissione sono, oltre all’aerosol, la via orale, attraverso l’ingestione di latte o di formaggio anche dopo pastorizzazione. La via percutanea, attraverso il morso di zecche, è possibile per gli animali ma non per l’uomo. La trasmissione uomo-uomo è estremamente rara e avviene soprattutto in medici e personale sanitario a contatto con soggetti clinici. E’ stata segnalata la possibilità che questa infezione si trasmetta anche per via sessuale in quanto il batterio è stato isolato anche a livello di liquido seminale nel toro. I soggetti giovani sembrano essere maggiormente resistenti all’infezione rispetto agli adulti.

Nell’uomo la febbre Q può dar luogo a forme acute (principalmente stati febbrili, polmoniti, epatiti) o croniche (principalmente endocarditi). Quest’ultime forme sono peculiari di soggetti con precedenti valvulopatie o donne in gravidanza. A differenza di quanto avviene nell’uomo, la febbre Q negli animali è il più delle volte, asintomatica. Nei rari animali sintomatici, nella fase acuta, C.burnetii può essere isolata dal sangue,dai polmoni, dalla milza e dal fegato mentre nelle forme croniche si rileva nelle feci e nelle urine. Come già menzionato C.burnetii può essere isolata anche dal latte fino a 32 mesi post infezione. Nelle capre, inoltre, è stato isolato il patogeno nelle feci fino a 20 giorni post infezione. Essendo la sintomatologia clinica così varia la diagnosi definitiva di febbre Q è fatta valutando l’incremento del titolo anticorpale.

La natura intracellulare di C.burnetii ne favorisce la resistenza a molti principi attivi. Nei ruminanti il trattamento antibiotico prevedrebbe due iniezioni di ossitetraciclina durante gli ultimi mesi di gestazione anche se questo trattamento non evita completamente gli aborti né la trasmissione di C.burnetii alla prole.

La febbre Q rappresenta un rischio soprattutto per le persone a stretto contatto con gli animali di allevamento, il latte e i suoi derivati come allevatori, veterinari, personale addetto ai macelli, nonché personale di laboratorio. E’ necessario, per il controllo di questa zoonosi, limitare la diffusione delle zecche e applicare buone pratiche di igiene aziendale, come il trattamento dei reflui al fine di limitare la contaminazione ambientale. Gli animali infetti dovrebbero essere eliminati o comunque separati dal resto della mandria. Evitare il consumo di latte crudo in persone a rischio come donne gravide, cardiopatici o immunosoppressi potrebbe contribuire a ridurre la prevalenza di questa infezione.

Sono stati proposti differenti vaccini contro C. burnetii: l’unico considerato sicuro per l’uomo è l’inattivato (Q-Vax).

M.Mazzilli

Bibliografia: Angelakis E., Raoult D. Q fever – Review – Veterinary Microbiology 140 (2010) 297-309

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