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Latte di scarto ai vitelli

Durante gli ultimi anni, molti allevatori hanno adottato programmi di alimentazione dei vitelli innovativi caratterizzati sia dall’aumento della frequenza di somministrazione del latte sia dall’aumento della quantità di latte somministrato a ciascun vitello: in alcuni casi si è passati da quattro litri al giorno a otto e più litri di latte al giorno.

I costi elevati dei prodotti utilizzati come sostituti del latte, in particolare quelli del latte in polvere di alta qualità, hanno fatto in modo che alcuni allevatori iniziassero a prendere in considerazione l’utilizzo del latte di scarto, non commercializzabile, nei programmi di alimentazione dei vitelli.

Solitamente, il latte non adatto al consumo umano, è quello prodotto dalle bovine nei primi giorni dopo il parto e dalle bovine trattate con antibiotici.

Tuttavia, prima di prendere la decisione di sostituire il latte in polvere di alta qualità con il latte non commercializzabile prodotto in azienda, è importante prendere in considerazioni diversi fattori e porsi alcune domande.

È importante ricordare che il vitello è un animale giovane il cui sistema immunitario è in via di sviluppo, per questo è molto suscettibile a malattie dell’apparato respiratorio e di quello digerente.

I rischi legati all’utilizzo di latte non adatto al consumo umano devono essere presi attentamente in considerazione quando si sviluppano programmi di alimentazione per questi giovani animali.

Per cominciare, il latte non adatto al consumo umano può essere una fonte di batteri patogeni. Questo fenomeno può essere particolarmente problematico negli allevamenti che acquistano animali il cui stato sanitario è sconosciuto. Molte malattie importanti possono essere trasmesse ai vitelli, attraverso il latte, durante i primi mesi di vita.

Oltre al rischio di trasmissione d’importanti malattie, il consumo di latte caratterizzato da un’elevata carica batterica, probabilmente, non è favorevole per la salute vitello durante le prime settimane di vita, quando la flora batterica intestinale del giovane animale è molto instabile.

Inoltre, la scarsa pulizia dei recipienti di stoccaggio o l’insufficiente raffreddamento del latte, hanno come conseguenza la rapida crescita batterica e la conseguente riduzione della qualità del latte.

Diverse prove condotte in campo, in più allevamenti, hanno dimostrato che la conta aerobica totale dei campioni di latte non adatto al consumo umano è risultata essere compresa tra 5.000 UFC/ml e oltre 100 milioni di UFC/ml.

Inoltre, gli antibiotici presenti nel latte prodotto da bovine sottoposte a trattamenti terapeutici hanno un impatto sconosciuto sulla normale flora batterica presente nell’intestino dei vitelli, soprattutto per quanto riguarda gli animali d’età inferiore alle due settimane.

È importante sottolineare anche il fatto che il contenuto di nutrienti del latte non destinato al consumo umano è molto variabile. A tal proposito, studi di campo condotti in North Carolina, California e Wisconsin hanno determinato l’esistenza di ampie variazioni nel contenuto di grasso e proteine.

Questo fenomeno avviene per un’ampia varietà di ragioni, tra cui l’involontaria aggiunta di acqua al latte e la ridotta agitazione durante la conservazione.

Un altro fattore da tenere in considerazione è che la maggior parte degli allevamenti di bovine da latte è caratterizzata da una notevole variazione giornaliera o settimanale per quanto riguarda la quantità di latte di scarto prodotto.

Per questo motivo la produzione di latte di scarto non si adatta in modo favorevole alla richiesta di latte necessario per l’alimentazione dei vitelli.

Un’abbondante produzione di latte non commercializzabile non dev’essere vista come una fonte abbondante per l’alimentazione dei vitelli ma, al contrario, come una perdita di potenziale reddito per l’allevatore.

La vendita di latte con basso contenuto di cellule somatiche e di batteri dovrebbe essere un obiettivo importante per tutti gli allevatori.

Ciò si può ottenere in due modi:

1) applicando programmi di gestione delle bovine e tecniche di mungitura che favoriscano la produzione di latte a basso contenuto di cellule somatiche e di batteri;

2) non destinando al commercio il latte con contenuto elevato di batteri e cellule somatiche.

Il secondo esempio si traduce in perdite di reddito più o meno elevate e comporta maggiori spese per la gestione del latte non commercializzabile.

Il latte invendibile non dovrebbe mai essere somministrato crudo ai vitelli a causa del rischio di trasmissione di alcune importanti malattie infettive come, ad esempio, la Paratubercolosi e la Diarrea Virale Bovina (BVD).

Fortunatamente, oggi in commercio esistono diverse tipologie di pastorizzatori adatti per l’uso in azienda. Tali apparecchiature hanno dimostrato di essere in grado di trattare in modo efficace e affidabile il latte di scarto.

Si tratta di pastorizzatori di tipo batch oppure di apparecchi in grado di trattare il latte ad alta temperatura per un tempo breve (HTST). I pastorizzatori di tipo batch riscaldano il latte fino a una temperatura di circa 62,7 C° per almeno trenta minuti, mentre le unità HTST pastorizzano il latte portandolo a una temperatura di circa 71,6 C° per quindici secondi.

È importante sottolineare che i pastorizzatori sono in grado eliminare il 98-99% dei batteri patogeni solo quando sono installati correttamente e sottoposti a periodica manutenzione.

La pastorizzazione avviene in modo corretto quando la conta batterica post-pastorizzazione è inferiore o uguale a 20.000 UFC/ml. Per raggiungere questo scopo, la conta batterica prima della pastorizzazione non dovrebbe superare due milioni di UFC/ml.

Per fare in modo che la pastorizzazione avvenga con successo e non vi sia una contaminazione del latte post-pastorizzazione è importante pulire accuratamente tutte le superfici che vengono a contatto con il latte, comprese le attrezzature di mungitura, le linee del latte, i tubi e i contenitori di stoccaggio.

Idealmente, il latte non commercializzabile dovrebbe essere munto, pastorizzato e somministrato ai vitelli nel più breve tempo possibile per prevenire la crescita batterica. Al fine di ridurre al minimo il rischio di contaminazione batterica è fondamentale seguire, anche per il latte di scarto destinato ai vitelli, i protocolli utilizzati per il latte destinato al consumo umano.

La prima decisione da prendere riguardo all’uso del latte non commercializzabile come alimento da inserire nel programma di alimentazione dei vitelli è di determinare i costi per l’acquisto e la gestione del pastorizzatore.

Oltre al costo di acquisto, infatti, si deve anche considerare il costo d’installazione, il costo per l’energia elettrica, il costo per la produzione di una sufficiente quantità di acqua calda e il costo per gli interventi di manutenzione.

Il corretto funzionamento del pastorizzatore deve essere regolarmente verificato, per fare questo è utile misurare, almeno una volta al mese, la carica batterica del latte al termine della pastorizzazione e nel momento in cui il latte è somministrato all’ultimo vitello.

Molti allevatori hanno introdotto con successo l’uso del latte di scarto, previa pastorizzazione, nei programmi di alimentazione dei vitelli. Tuttavia, prima di prendere qualsiasi decisione in merito, è importante considerare attentamente il vero costo di questo sistema di alimentazione e confrontarlo con i costi di un programma di alimentazione basato esclusivamente sull’uso di sostituti del latte.

Fonte: Is unsaleable milk good enough for your calves? – Robert E. James. HOARD’S DAIRYMAN, May 10, 2015.

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