In Italia si parla tanto di fake news su vari argomenti ma nessuno si preoccupa delle notizie fasulle e distorte che vengono pubblicate quotidianamente sulle nostre realtà produttive. Una delle più recenti è quella che riguarda una videoinchiesta di una onlus animalista nella quale verrebbero dimostrati maltrattamenti e orrori negli allevamenti conferenti delle latterie dei consorzi Grana Padano e Parmigiano Reggiano. Addirittura la notizia è stata ripresa dai principali quotidiani nazionali e dalla stampa estera, evidenziando come il video mostrasse la realtà mentre la difesa dei consorzi fosse in alcuni casi debole se non addirittura che confermasse quanto dichiarato dalla onlus. Questo non corrisponde a quanto è accaduto, e sembra essere solo un episodio di cattivo giornalismo, un tentativo di attaccare la filiera e promuovere una criminalizzazione delle realtà produttive che fanno capo alle eccellenze italiane.
Per fare chiarezza, vi presentiamo i fatti e la scommessa lanciata dal Consorzio Grana Padano.
Nell’estate del 2017 una onlus italiana, che si batte per mettere fine all’allevamento intensivo, ha realizzato una videoinchiesta in solo 9 allevamenti conferenti delle latterie dei consorzi Parmigiano Reggiano e Grana Padano. Il risultato di questa indagine, secondo la onlus, mostra vacche che non hanno accesso al pascolo e che quindi sono “depresse”. Si dice che le vacche sono esauste per il troppo latte prodotto e lo sfruttamento, tanto che alcune faticano a camminare ma nel video viene mostrata, a titolo di esempio, una singola vacca inquadrata da lontano che sembra avere problemi podali e non cammina così certo per effetto del presunto sfruttamento. Evidentemente chi ha commentato il video non ha molta conoscenza delle vacche e della buiatria, e ha utilizzato singole immagini fuori contesto per fare commenti fantasioni e fuori luogo, tesi a stimolare una reazione emotiva nel pubblico. Si critica più volte il fatto che il benessere degli animali non viene rispettato negli allevamenti, ma non risulta che ci sia alcun esperto in benessere animale all’interno della onlus, né che sia stato consultato un Medico Veterinario esperto di benessere per giudicare e commentare le immagini del video. Inoltre non è chiaro quali siano i riferimenti scientifici e normativi, se ci sono, delle opinioni e dei giudizi espressi con tanta veemenza nel video e sul sito web. Come conseguenza alle immagini mostrate, la onlus chiede che entro il 2018 sia obbligatorio tenere le vacche al pascolo per almeno 100 giorni all’anno. In seguito al video, è stata promossa una petizione per chiedere al Ministro delle Politiche Agricole, Maurizio Martina, che sia introdotta un’etichettatura che indichi il metodo di allevamento delle vacche con il cui latte è stato prodotto il formaggio, in modo che il consumatore possa scegliere di acquistare un prodotto che rispetti la sua idea di allevamento, ad esempio privilegiando il formaggio prodotto dalle vacche al pascolo.
I due consorzi hanno risposto alle accuse con due distinti comunicati, e il Consorzio Grana Padano ha lanciato una sfida alla onlus.
Il Consorzio Parmigiano Reggiano sottolinea che non è vero che si può parlare di maltrattamento animale per la filiera del Parmigiano Reggiano. Gli allevamenti della filiera del Parmigiano Reggiano sono infatti sottoposti ai controlli dei veterinari come previsto dalla normativa vigente europea. Non esiste alcun “maltrattamento animale” in quanto gli standard dettati dalla legge sono ampiamente rispettati. La filiera è sottoposta a controlli e si attiene scrupolosamente alla normativa in materia di benessere animale. Viene sottolineato anche che il quadro emerso dal reportage è relativo ad un campione non significativo e non rappresenta in alcun modo la filiera del Parmigiano Reggiano. Il reportage ha preso infatti in considerazione solo 9 stalle, mentre gli allevamenti che producono il latte per le due DOP sotto accusa sono oltre 8.000 (3.000 relativi al Parmigiano Reggiano). Gli esempi riportati corrispondono pertanto all’1 per mille degli allevamenti di entrambe le filiere. Il Consorzio prende atto dell’esistenza di questi casi isolati e auspica una verifica da parte delle autorità competenti per quanto riguarda la rispondenza agli standard previsti dalla normativa europea. Si tratta di esempi non virtuosi che il Consorzio condanna e che non rappresentano in alcun modo il grado di benessere animale che sta alla base della produzione della nostra DOP. Viene inoltre ricordato che la filiera del Parmigiano Reggiano non è una realtà industriale, l’allevamento non può essere definito “intensivo”. Infatti, è composta da 3.000 allevamenti, realtà per lo più a carattere familiare per le quali non si può parlare assolutamente di allevamento intensivo. Basti pensare che la dimensione media degli allevamenti è di 85 capi per azienda e che la quantità di latte prodotta per ciascun capo l’anno è pari a circa 65/70 quintali, valore estremamente inferiore a quello dei principali distretti europei vocati al latte bovino. Inoltre, il 30% degli allevamenti è localizzato in aree montuose dove è impossibile qualsiasi forma di allevamento intensivo. La presenza di tali realtà ha un valore anche sociale perché la produzione del nostro formaggio permette alle comunità montane di sopravvivere e crea un indotto economico in aree svantaggiate. Per quanto riguarda il benessere, il Consorzio Parmigiano Reggiano non solo rispetta la normativa ma va oltre, fissando un’alimentazione rigida per garantire alle bovine uno stato di salute ottimale. Si ricorda come il benessere delle bovine sia essenziale per la produzione della Dop. Per fare un buon formaggio, occorre partire da una materia prima eccellente. È quindi interesse di tutta la filiera che le bovine siano in ottima forma per produrre latte di qualità, indispensabile per mantenere gli standard elevati della produzione del Parmigiano Reggiano. Gli allevamenti, non solo rispettano la normativa europea sul benessere animale, ma il disciplinare di produzione va oltre, imponendo una dieta specifica che assicura alle bovine il giusto apporto nutrizionale per garantire uno stato di perfetta salute. Il disciplinare prescrive l’uso prevalente di foraggi locali: almeno il 50% dei foraggi utilizzati devono essere prodotti dalla stessa azienda produttrice di latte, e almeno il 75% deve essere di provenienza dalla zona d’origine. La razione alimentare delle vacche prevede inoltre l’uso di mangimi vegetali a base di cereali quali orzo, frumento, mais. Sono assolutamente vietate materie prime di scarsa qualità come i sottoprodotti dell’industria alimentare, le farine di pesce e le farine di carne. È vietato inoltre l’uso di foraggi fermentati, come gli insilati di mais. Queste norme così stringenti sono essenziali e hanno contribuito a rendere il Parmigiano Reggiano uno dei prodotti italiani più conosciuti ed amati nel mondo. Viene inoltre ricordato che non c’è una relazione assoluta tra pascolo e benessere. Nelle stalle della filiera le vacche hanno un riparo, uno spazio adeguato per muoversi e per riposare, una buona ventilazione, acqua per abbeverarsi, un’alimentazione corretta, doccette per bagnarsi. Non c’è una correlazione diretta tra pascolo e “vita felice” della bovina. Se il pascolo può essere la soluzione ottimale per alcune aree geografiche e latitudini d’Europa (e comunque diverse decine di allevamenti conferenti lo praticano), nelle estati torride che caratterizzano il nostro territorio, lasciare un animale al caldo sotto il sole potrebbe creare una grave condizione di stress e malessere. Le bovine della filiera vivono in stalle, con spazi e comfort a misura di animale, in molte spesso sono presenti grandi recinti su prati per permettere ampio movimento agli animali. Gli standard di strutture e caratteristiche tecniche della stabulazione sono previste dalla normativa europea e sottoposte al controllo del servizio veterinario. Se esistono casi isolati non conformi alla normativa è interesse del Consorzio che tali eccezioni vengano messe in luce e che si prendano i provvedimenti necessari, senza generalizzare ed attribuire il problema ad un intero comparto che da sempre è attento al benessere animale e che costituisce uno dei gioielli del Made in Italy.
Il Consorzio Grana Padano esprime perplessita sia per la modalità violenta con cui le accuse sono state scagliate sull’opinione pubblica sia per l’infondatezza dei contenuti diffusi. Viene evidenziato che si tratta di una gogna mediatica basata sulla disinformazione e sull’allarmismo, che sta fornendo un’immagine distorta della realtà che non danneggia ingiustamente solo l’immagine del Grana Padano o del Parmigiano Reggiano, ma dell’intero sistema Paese, che fonda sul made in Italy il proprio successo nel mondo. Viene ricordato che il complesso produttivo del Grana Padano è costituito da quasi 4.500 allevamenti, 130 caseifici, 150 stagionatori e 40mila addetti complessivi, localizzati tra regioni diversissime tra loro per tradizione e caratteristiche pedoclimatiche come Lombardia, Piemonte, Trentino, Veneto, Emilia Romagna. Risulta evidente, pertanto, che aver individuato e ‘indagato’ solo 9 aziende all’interno di questo sistema unito a quello del Parmigiano Reggiano (che conta da solo 3mila allevamenti) si può considerare una ricerca quanto meno insufficiente per poter definire uno status generale del settore in modo realistico. Si sottolinea come nel video venga presentata solo qualche immagine ad’effetto, molte generalizzazioni, molte opinioni ma nemmeno un serio approfondimento sul perché si adottano determinate soluzioni di allevamento, né su altri mille dettagli che raccontino la verità. Viene quindi ricordato che il ‘sistema Grana Padano’ da sempre pone grande attenzione alla qualità della produzione ed alle modalità con cui si opera quotidianamente per offrire tale qualità, garantendo al consumatore un prodotto sano e genuino, investendo costantemente impegno e risorse nella ricerca e nell’applicazione di azioni che rispettino le norme vigenti in materia, e che valorizzino ogni aspetto delle fasi produttive, dalla stalla al caseificio, fino alla stagionatura. Solo un latte di qualità, che si ottiene esclusivamente da vacche sane e ben tenute, consente di ottenere un prodotto di qualità. Le quasi 4.500 stalle che conferiscono latte ai caseifici produttori di Grana Padano, questo lo sanno, e il Consorzio di Tutela pone grande attenzione a questo fattore di sensibilità e rispetto, chiedendo con decisione ai caseifici consorziati di raccomandare alle stalle conferenti, comportamenti rispettosi del benessere animale e procedure di produzione virtuose. Vengono quindi respinte le accuse di chi vorrebbe far passare il messaggio secondo cui il Consorzio Grana Padano non avrebbe a cuore il benessere animale delle vacche che producono il latte per il formaggio. Anzi, è l’esatto contrario. Infatti, l’Assemblea di tutti i soci del Consorzio Grana Padano, già il 21 Aprile scorso ha deliberato di introdurre un dispositivo che imponga e misuri il benessere animale in modo definito, individuando criteri finalizzati alla cura, allo stato di salute, alla libertà di movimento, all’accesso al cibo e all’acqua e alla possibilità di pascolo. Verrà introdotta una misurazione con livelli di insufficienza che escluderà la stalla dal circuito Grana Padano e che cercherà in tempi ragionevoli di tendere all’ottimo per tutti gli allevatori. In merito all’alimentazione, il foraggio ed il mangime destinato agli animali, ai sensi del disciplinare di produzione, provengono quasi interamente dalla zona di produzione del Grana Padano DOP. La monticazione estiva ed il pascolo del bestiame rappresentano una pratica dell’attività agricola tradizionale dell’area alpina, sviluppatasi come soluzione per ottimizzare le risorse foraggere e di manodopera dell’azienda. Tale pratica ha sicuramente lati positivi e, infatti, dopo aver attraversato un periodo di declino, è stata molto rivalutata ed è ad oggi molto utilizzata per lo più da allevamenti che hanno la propria sede in montagna dove si allevano razze idonee. Circa il 15% degli allevamenti che conferiscono il latte ai Caseifici soci del Consorzio Grana Padano utilizza l’alpeggio ed il pascolo come pratica irrinunciabile, almeno un altro 10% di stalle di pianura va al pascolo e un ulteriore 30% ha il paddock all’aperto dove gli animali possono stabulare liberamente. Anche la Frisona può adattarsi abbastanza bene all’alpeggio purché “allenata” sin dall’età giovanile a frequentarlo e purché le condizioni siano favorevoli (distanze, pendenze, rocciosità contenute, buona produzione quanti-qualitativa dei pascoli). Diversamente gli stress cui il bestiame può andare incontro sono tali da incidere negativamente sul benessere per cui si perde completamente il senso stesso di idea di benessere legata al pascolo su prati verdi (solo per citare un esempio, si può andare incontro ad eccessivo dimagrimento. Per ovviare spesso gli allevatori sono costretti a somministrare anche in alpeggio mangimi ed altri alimenti tipici dei sistemi intensivi con il rischio di stravolgere il significato dell’alpeggio e di compromettere il buon utilizzo dei pascoli). Le vacche in lattazione tendono a non uscire agevolmente perché trovano più comodo alimentarsi e abbeverarsi in stalla dove si possono anche coricare sulle lettiere in paglia già predisposte. Le manzette e gli animali in asciutta invece sono più propensi ad uscire al pascolo. Nessun animale comunque, quando fa molto caldo in estate, tende ad uscire perché preferisce gli ambienti ombreggiati e rinfrescati da ventilatori con nebulizzatori così come non ama uscire in inverno quando c’è nebbia e il terreno è bagnato perché affonda con gli zoccoli, fatica a muoversi ed è infastidito dall’umidità. La protezione degli animali da reddito in allevamento ed il loro benessere da sempre rappresentano obiettivi prioritari del legislatore europeo e nazionale. Già con il Trattato di Lisbona l’Europa ha riconosciuto gli animali come “esseri senzienti”. Da allora il legislatore ha provveduto ad emanare norme cogenti (non facoltative) per il rispetto del benessere animale. Come è noto, tutti gli allevatori sono tenuti, pena l’esclusione dai pagamenti dei premi assicurati dalla Politica Agricola Comune (PAC) e dai finanziamenti dei Programmi di Sviluppo Rurale (PSR) nonché l’applicazione di sanzioni, a rispettare quelle che vengono definiti BUONE PRATICHE DI ALLEVAMENTO E AGRICOLE (BPA). Il citato disciplinare del CReNBA, elaborato dal Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale del Ministero della Salute, rappresenta delle linee guida facoltative che danno indicazioni rispetto alla valutazione del livello di benessere animale tenuto da un allevamento. Gli allevamenti del Consorzio Grana Padano non solo seguono queste linee guida facoltative, ma fanno di più. Rispettano le norme esistenti e vanno oltre. Si evidenzia che il legislatore nazionale ha varato il “piano nazionale per il benessere animale (PNBA)” per ottemperare alle disposizioni previste dalle norme nazionali e comunitarie e per rendere uniformi le modalità di esecuzione e la programmazione dei controlli, migliorando nel contempo anche la formazione dei medici veterinari e degli allevatori sulle essenziali tematiche di benessere animale. Pertanto tutti gli allevatori inseriti nella filiera del Grana Padano rispettano quanto previsto dalle norme cogenti, sono sottoposti regolarmente a controlli da parte dei competenti organi (veterinari delle ATS) al fine di verificare che osservino le disposizioni vigenti e siano adeguatamente “formati”, fornendo indicazioni ai fini di un costante miglioramento delle pratiche di allevamento per un maggior benessere animale. La tutela del benessere degli animali, sancito come principio fondamentale della Società e primo impegno del Consorzio del Grana Padano, migliora le performance produttive, la qualità del prodotto, la sua salubrità, garantisce la tutela del consumatore, coincide con gli interessi economici dell’allevatore e del sistema Paese. Per questo l’impegno congiunto di tutti gli attori della filiera Gran Padano è costantemente orientato ad aumentare il livello di tutela del benessere, andando nella gran parte dei casi molto oltre il rispetto dei requisiti minimi previsti dalla norma, dato che il benessere della mandria rappresenta per la filiera Grana Padano la conditio sine qua non per produrre un prodotto di eccellenza che soddisfi il mercato nell’interesse di tutti, partendo dai consumatori e arrivando ai produttori. Vengono quindi ricordati i risultati di un progetto di ricerca sul benessere animale condotto nel 2014, che ha coinvolto 134 allevamenti estratti a campione, realizzato in collaborazione anche con il Centro di Referenza Nazionale per il Benessere Animale (CReNBA, IZSLER). Lo studio ha rilevato che il 71,6% delle stalle valutate in termini di rispetto dei requisiti che assicurano la tutela del benessere animale ha totalizzato un punteggio classificabile come ottimo. Inoltre il Consorzio ha fornito indicazioni dettagliate sulla valutazione del benessere delle bovine da latte, con riferimenti scientifici e normativi. Ci si chiede quindi su quali basi la onlus animalista definisca le condizioni di benessere per le bovine da latte. Si ricorda quindi che, come in ogni comparto produttivo costituito da un elevato numero di attori, talvolta è possibile rilevare difformità rispetto alle norme e al buon senso, che vanno puntualmente segnalate per consentire correttivi e azioni da parte dei soggetti preposti al controllo e alla tutela ma, qualche stalla ‘maldestra e inadempiente’, non è certo rappresentativa della media delle stalle del ‘sistema Grana Padano’. Una vacca da latte curata e quindi sana produce un latte migliore sotto ogni profilo. È quindi interesse di ogni produttore capace e intelligente prestare estrema attenzione al proprio allevamento a tutela della propria attività e, soprattutto, a garanzia per il consumatore. Le nostre vacche stanno bene, il loro latte è tra i migliori al mondo, il Grana Padano continua a rappresentare un’eccellenza italiana di cui andare orgogliosi. Il Consorzio Grana Padano ha quindi lanciato una scommessa: propone di estrarre a campione, di fronte ad un notaio, 100 allevamenti per poi farli analizzare da una Commissione terza di veterinari specializzati in materia, scelti dall’Ordine dei Veterinari. Se le condizioni riscontrate daranno ragione alle tesi della onlus animalista e risulterà che le vacche negli allevamenti sono realmente maltrattate, il Consorzio chiederà pubblicamente scusa e interverrà da subito adottando provvedimenti idonei e rigorosi. Se risulterà, come sono sicuri, che le accuse mosse al sistema Grana Padano sono infondate, dovranno essere loro a chiedere scusa al Consorzio e a tutti gli allevatori da latte italiani per il rilevantissimo danno che stanno arrecando, interrompendo immediatamente questa campagna diffamatoria e rimuovendo da ogni loro canale di comunicazione ogni riferimento ad essa.
I comunicati stampa sono consultabili nella loro interezza sui siti Internet dei due consorzi: Parmigiano Reggiano e Grana Padano.
Comments